Questa è l’opera più enigmatica per struttura e immagini , dove l’unica certezza è il colore verde, quasi unico e portante.
Un pappagallo verde in primissimo piano, soverchiante immagine dall’occhio beffardo, fisso e vivo allo stesso tempo , ci si para dinanzi sbucando da una quinta immaginaria per aprire il sipario. Una presenza scenica da giullare silenzioso che ammicca un “CuCù” , il titolo dell’opera ma anche un antico giuoco di carte e un tipico scherzoso intercalare di sorpresa .
L’elemento di forte risalto concettuale è nel proscenio dell’opera che non è scherzo né gioco, ma è strutturalmente impostato su tre direttrici non perfettamente parallele o prospettiche .
Queste tre linee che ripartiscono l’opera raffigurano tre strade del centro storico romano immerse in una vegetazione quasi amazzonica, carica di verde che è il colore decisivo di tutta l’opera e del misterioso pappagallo che la introduce .
Un enigma irrisolvibile, quest’opera, se non fosse per gli elementi riconoscibili della poetica di Carla Pitarelli che sono l’amore incondizionato per Roma che lei sente come la sua città- patria e l’amore per la natura , la luce naturale e i suoi colori, qui prepotente cornice di tutta l’opera.
Apparentemente scherzosa e giocosa l’opera “Cucù” interpreta giullarescamente la vita romana che sa essere caotica , umana ma a volte silenziosa nei suoi vicoli remoti, immersi in un verde pluviale sognato e anche ritrovato nella realtà capitolina, se solo si riesca a viverla bene.
Eppure al di là delle immagini l’atmosfera evocata è di un paradossale “caos calmo”, in cui le strade romane sono fotogrammi di una città adombrata dalle fronde di verdissimi di alberi che le disegnano un tetto riparatore, una cornice decorativa che la cullano e la rinfrescano di una silenziosa naturalità.
Un pappagallo verde in primissimo piano, soverchiante immagine dall’occhio beffardo, fisso e vivo allo stesso tempo , ci si para dinanzi sbucando da una quinta immaginaria per aprire il sipario. Una presenza scenica da giullare silenzioso che ammicca un “CuCù” , il titolo dell’opera ma anche un antico giuoco di carte e un tipico scherzoso intercalare di sorpresa .
L’elemento di forte risalto concettuale è nel proscenio dell’opera che non è scherzo né gioco, ma è strutturalmente impostato su tre direttrici non perfettamente parallele o prospettiche .
Queste tre linee che ripartiscono l’opera raffigurano tre strade del centro storico romano immerse in una vegetazione quasi amazzonica, carica di verde che è il colore decisivo di tutta l’opera e del misterioso pappagallo che la introduce .
Un enigma irrisolvibile, quest’opera, se non fosse per gli elementi riconoscibili della poetica di Carla Pitarelli che sono l’amore incondizionato per Roma che lei sente come la sua città- patria e l’amore per la natura , la luce naturale e i suoi colori, qui prepotente cornice di tutta l’opera.
Apparentemente scherzosa e giocosa l’opera “Cucù” interpreta giullarescamente la vita romana che sa essere caotica , umana ma a volte silenziosa nei suoi vicoli remoti, immersi in un verde pluviale sognato e anche ritrovato nella realtà capitolina, se solo si riesca a viverla bene.
Eppure al di là delle immagini l’atmosfera evocata è di un paradossale “caos calmo”, in cui le strade romane sono fotogrammi di una città adombrata dalle fronde di verdissimi di alberi che le disegnano un tetto riparatore, una cornice decorativa che la cullano e la rinfrescano di una silenziosa naturalità.
Emanuela Dottorini Torlonia